Lo showrunner di The Walking Dead, Scott M. Gimple, dice che non è stato sorpreso dal fatto che ad alcune persone non sia piaciuto il cliffhanger della sesta stagione in cui non abbiamo saputo l’identità della prima vittima di Negan, ma è stato sorpreso dall’intensità della reazione.
Mentre Gimple riconosce e rispetta le varie opinioni dei fan, è anche fermo nel suo impegno alla visione dello show. “Tutto ciò è nell’interesse del pubblico“, ci ha detto.
Inoltre Gimple parla del fronteggiare la violenta reazione dei fan al finale, e del suo parere sulla grande differenza tra il cliffhanger di Negan e il cassonetto che l’ha preceduto.
Eri sorpreso dalla rabbia che hanno avuto alcuni fan per il cliffhanger? Ti ha fatto avere dei ripensamenti questa cosa?
Non ero sorpreso. È un pubblico molto appassionato e non ero sorpreso che ad alcuni non fosse piaciuto. Credo di essere stato sorpreso dell’intensità della loro reazione. Ma la passione è passionale e se ce l’hanno per lo show, dopo sei anni, immagino che dobbiamo affrontare il peggio. Credo in quello che facciamo. Credo nella storia di cui quel cliffhanger è perno, e quegli aspetti della storia che invitano il pubblico ad interagire con la loro immaginazione, a pensare a delle cose e a discuterne.
La cosa che trovo meravigliosa sullo spettacolo di massa è la possibilità che degli estranei siano in grado di parlare tra di loro, di avere dei punti in comune e qualcosa di cui sono appassionati, anche se non si sono mai incontrati prima d’ora. Ed è molto gratificante per me vedere storie di persone che pensano, parlano ed ipotizzano teorie. Credo che quell’aspetto sia meraviglioso. Certo, non miriamo a far arrabbiare la gente, ma ci stireremo e prenderemo dei rischi nell’interesse del pubblico. Tutto ciò è nel loro interesse.
Se l’evento non fosse esistito nel fumetto, e la gente non sapesse così tanto di ciò né del risultato a cui esso ha portato, pensi che non ci sarebbe stato così tanto tumulto?
Assolutamente. Si è trattato di aspettative. La gente diceva “Oh, bene, ecco cosa succede quando Negan arriva sulla scena”, e l’aspettativa era “Oh, sarà così e così dovrebbe essere, ed è così che è nella mia testa”. Ed io lo capisco, ma si tratta anche di cercare di fare le cose che soddisfino lo spirito della storia e lo spirito del fumetto, senza che sia esattamente come il fumetto.
E a dirti la verità, dato che sono in primis un lettore del fumetto, anch’io faccio la stessa cosa, ma ho la sensazione che alcuni lettori dicano “Oh, questo accadrà, le cose stanno esattamente così”. E noi volevamo dar loro una nuova esperienza, un’esperienza di suspense e paura, perché non sanno cosa succederà. Vogliamo che sentano quello che sta realmente accadendo ai personaggi nello show, vogliamo sorprenderli.
Allora cos’è più importante: onorare fedelmente quei grandi momenti del fumetto, o fornire nuove esperienze al pubblico?
Come ho detto un sacco di volte, è un remix. È qualcosa che abbiamo provato quando ho iniziato a lavorare nello show e Robert Kirkman ed io eravamo seduti nella stanza ed io ero scrittore e produttore. Volevo sempre avvicinarmi il più possibile al fumetto, Robert invece voleva deviare per fornire ai lettori una nuova esperienza. E col passare degli anni l’ho integrata col mio pensiero, fin quando si adempie allo spirito della storia dei fumetti. Stiamo cercando di generare le stesse emozioni ed avere nei copioni un’interpretazione molto diretta dei vari momenti – anche se è completamente diverso – realizzando comunque la storia del fumetto. È questo che ho seguito in tutti questi anni, e alla fine della sesta stagione è molto in linea con quello.
Una delle cose che ho sentito dalla gente è che il problema che hanno avuto con il cliffhanger è che, messo a confronto con il cliffhanger del cassonetto della prima metà di stagione, è troppo in un lasso di tempo troppo condensato. Capisci in che modo, per alcuni, potrebbe essere stato un problema?
Quando diciamo che per alcune persone è un problema, parliamo solo di coloro che scrivono su internet, perché ovviamente quelli sono gli unici di cui siamo a conoscenza, eccetto, forse, le persone della nostra vita. Internet è un gruppo demografico molto specifico. Personalmente, alla fine non lo so. Pensavo a come internet sia un certo gruppo demografico – un pubblico intelligente e selettivo che analizza le cose in modo molto profondo. Rispetto tutto ciò e lo adoro, e se non scrivessi per lo show, probabilmente lo farei anche io.
Penso che nel contesto generale dello show, questi due eventi siano storie individuali che non sono particolarmente legate l’una all’altra. Credo che entrambi hanno a che fare con la perdita, ma credo che siano in un certo senso opposte. La storia del cassonetto riguardava qualcuno che sopravviveva a qualcosa, riguardava un personaggio che continuava a vivere. Si voleva mettere il pubblico al posto dei cittadini di Alexandria. Non sapevamo cosa fosse successo. Sembrava che fosse morto ma non era certo. La cosa che gli ha permesso di sopravvivere è stata la cosa che lo faceva sembrare morto, cioè le interiora di Nicholas. Quindi, per fortuna quella storia è stata un “Oh, qualcuno è sopravvissuto! Ho dovuto passare un periodo in cui credevo che questo personaggio fosse morto, e invece poi è sopravvissuto”.
Questa è la cosa opposta. Quella era una storia che prometteva morte, che li ha portati tutti fuori e poi sono tutti sopravvissuti. È una storia molto diversa. Lì ci si chiedeva se qualcuno sarebbe morto, nel cliffhanger finale, invece, ci si chiede se qualcuno sopravviverà. Suppongo che il parallelo tra i due eventi si faccia perché si hanno davanti due incidenti incredibilmente intensi che colpiscono fortemente il pubblico e non danno loro delle risposte immediate.